Mi ricordo

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Mi ricordo che quando ero bambina andavo con mia madre a comprare i libri per la scuola alla cartoleria Minerva.

Ricordo che era piena di penne, pennarelli di ogni tipo, gomme che sembravano caramelle colorate e odore di carta,  di libri e cancelleria nuova.

Adoravo andarci anche se voleva dire che l’estate era finita e stavamo comprando le cose per la scuola.

Mi ricordo che il mio libro era il sussidiario e ci mettevo attorno una copertina di plastica sottile per non sgualcirlo, era giallo limone. Lo portavo a casa e lo sfogliavo tutto subito, mi piaceva guardare le foto e immaginare le future delucidazioni della maestra. Sceglievo le mie foto preferite del libro e aspettavo con impazienza per tutto l’anno scolastico che il programma mi portasse proprio su quelle pagine per ascoltare la spiegazione.

Mi ricordo del Balilla, un negozio di giocattoli vicino casa, mamma mi ci portava spesso, era come perdersi in un mondo fatato, il negozio è davvero molto grande, ma agli occhi di una bambina era infinito.

Lì dentro si respirava il profumo dell’aspettativa, di cose desiderate, di sogni e di fantasia.

Avevano ogni tipo di puzzle, lego, gioco, bambola o macchinina che si potesse desiderare; mamma, per farmi contenta, quando ci andavamo, mi comprava sempre un vestito per la Barbie, li vendevano a 1500 lire l’uno quelli più semplici.

Mi ricordo il catalogo di “Amico Giò” che arrivava tutti gli anni sotto Natale.

Quello per me era il Santo Gral del desiderio, la Bibbia da consultare prima di scrivere la letterina a Babbo Natale. Facevo scorrere avidamente le pagine colorate e patinate, ogni volta che voltavo una pagina l’aspettativa di trovare in quella dopo ciò che cercavo cresceva. Dopo mamma mi portava per mano dal giocattolaio e ci divertivamo a guardare insieme se  le foto del catalogo corrispondevano alla realtà o se le cose sembravano più belle di quanto lo fossero.

Quella era la mia prima lezione sul “non è tutto oro ciò che luccica”.

Mi ricordo l’attesa del Natale e il mattino del venticinque dicembre quando, io e mio fratello, scartavamo i regali insieme.

Facevamo uno per uno, non volevamo finirli subito. Di solito i pacchi più grossi venivano lasciati per ultimi. Mamma scriveva per noi una letterina da parte di Babbo Natale e noi le tenevamo tutte da parte, eravamo due veri creduloni.

Mi ricordo il mio primo gatto, il suo pelo soffice come un batuffolo di lana, i suoi profondi occhi di giada e il suo buon profumo di amore. Lo avevo trovato abbandonato in mezzo a un prato, era un cucciolo, lo portai a casa e gli diedi il latte con il contagocce, avevo otto anni. Ricordo la sua zampa elegante che si è protesa verso il mio viso dove l’ha appoggiata delicatamente mentre mi guardava negli occhi e i suoi cuscinetti morbidi come velluto, i suoi baci ruvidi quando mi leccava il viso e le sue corse, con la coda alzata come un’antenna, appena sentiva il rumore della ciotola.

Mi ricordo due piccoli occhi neri che mi fissavano festosi al mattino appena sveglia, era Mephisto, il mio primo furetto. Si era infilato sotto le coperte a fianco a me con la testa posata sul cuscino e mi guardava mentre dormivo.

Mi ricordo la mano di mia madre nella mia per la strada, la signora del panificio che mi regalava la focaccia, la signora della drogheria che mi dava sempre una caramella, l’odore forte e speziato che c’era in quel negozio e i barattoli pieni di quelle che ai miei occhi erano gemme preziose anziché coloratissimi dolciumi.

Mi ricordo di quando avevo quattro anni, quando ancora d’inverno a Genova nevicava copiosamente. Camminavo in mezzo a cumuli di neve candida che mi arrivava fino alla vita, avevo una tutina da neve verde acqua e i guantini in tinta.

Ricordo l’odore che c’era nella mia scuola elementare e quello della palestra dove facevo ginnastica ritmica, sostituito poi da quello del cloro della piscina dove mi allenavo per nuoto sincronizzato.

Mi ricordo quando avevo cinque anni e mi operarono al ginocchio perchè caddi e mi rimase dentro una scheggia di vetro. Quando mi portarono via da mia madre trovai un orsacchiotto un po’ spelacchiato nella sala di pre anestesia. Lo presi per me e piansi quando me lo tolsero, si vede che fui molto convincente perchè al mio risveglio era con me.

Ricordo le stagioni nella strada della mia infanzia, le gemme verdi sugli alberi a primavera e le foglie multicolori a terra in autunno, ricordo il glicine che c’era sotto il mio portone e l’odore ipnotico che emanava. C’era anche un albero di nespole ed erano pure buone.

Ricordo altre mille cose così, semplici, forse insignificanti, ma quando ci penso mi rendo conto che forse è proprio questo che rende una vita degna di essere vissuta, non i grandi eventi, le cose irripetibili, ma proprio questi piccoli attimi di quotidianità indelebili nel corso della vita, questi scatti che restano perpetui nella mente di momenti forse irrilevanti eppure eterni nel tempo.

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25 thoughts on “Mi ricordo

  1. Che bello questo post!
    E’ bello ricordare, i ricordi sono mattoni su cui costruire il futuro, sono fonte dove attingere nei momenti bui o di dubbio, sono perle gioiose che regalano tanto. Per sempre.

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  2. I belli ricordi sono viaggi indietro della nostra vita… come un film nel passato… adoro a ricordarmi delle cose, si quelle belle ma anche quelle meno belle … bellissima storia cara Laura … Bussi Pif ❤

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